Con o senza il vostro permesso, vorrei esordire con una bestemmia. Eccola: le gallerie d’arte, le esposizioni, i musei mi stressano. Tranquilli, non vi sto riproponendo quella specie di bufala che è la sindrome di Stendhal. Non vi parlo di giramenti di testa e gambe molli provocati da eccessi, indigestioni di arte. Intendo proprio un senso di disorientamento che nasce da due fattori: non saper dove poggiare gli occhi e non sapere quanto lasciarveli, da un lato; dall’altro il timore di non avere tempo sufficiente per veder tutto e di quel tutto quale sia la quota essenziale. È quanto ho provato in diverse occasioni, sia che si trattasse degli Uffizi come dell’Ermitage di San Pietroburgo, del British Museum come dei Musei vaticani.
Solo alla Tate Gallery di St. Ives, in Cornovaglia, non mi sono sentito altrettanto spaesato. E poi ci sono le pene accessorie: davanti al capolavoro, prima il dipinto o la guida? È come vedere i film con i sottotitoli: o guardi l’uno o leggi i secondi. Sì, adesso ci sono le audio-guide, ma non mi soddisfano appieno: dicono troppo o troppo poco. Poco più che didascalie o mezzi romanzi, mentre il tempo incalza. Lo so quale sarebbe la soluzione: andare tante volte e ogni volta soffermarsi su di un autore o una corrente. Non abbuffarsi, nutrirsi a piccoli bocconi. Beh, facile a dirsi, solo a dirsi. Mica si va tutti i giorni a Londra o a New York, a San Pietroburgo o a Parigi. Qui nessuno è Berenson. E quando ci si va si vorrebbe fare il pieno. Il massimo bottino, nel minimo tempo. Impossibile. E allora ben vengano i fotografi che mostrano le mostre. Ma in fotografia l’opera d’arte si vede poco direte voi. Eh no, si vede due volte. Perché anche l’opera di chi la ritrae, con tutto il suo contorno è, nel suo piccolo, un’opera d’arte aggiuntiva e merita anch’essa tutta la nostra attenzione. Soprattutto se il fotografo è ironico, malizioso o semplicemente bravo a cogliere la situazione giusta al momento giusto. Per esempio, ricordo di essermi divertito moltissimo a vedere le foto dei visitatori che rimangono incantati ad ammirare L’origine del mondo di Courbet, come se non l’avessero mai vista prima. Sì, anche far vedere l’arcinoto con occhi nuovi e strizzatina d’occhio è un bel vedere.
Mi diverte, in queste foto di Massimo Pacifico, guardare i selfie mad men and women (nessun errore d’inglese: volevo scrivere quel che ho scritto) tutti presi a rubare tranci d’arte con i loro cellulari con la stessa vorace golosità con cui fotografano i piatti al ristorante, lasciando che si freddino.
Anch’io soffro la stanchezza di chi si accascia sfinito su un divano per riprendere fiato e dissimula inscenando la sindrome di Stendhal.
Poi ci sono le signore che si sono portate dietro il giaccone o l’impermeabile, come se alla Tate non avessero il guardaroba, e ora accaldati, sempre per effetto della sindrome di Stendhal, se lo stringono al petto pentite per non averlo lasciato in custodia. E che dire di quelli che tirano fuori i cataloghi, le guide, i sussidiari e sembra che stiano studiando l’oggetto delle loro attenzioni con la trepidazione di chi, di lì a poco, sarà interrogato dal severo direttore della Tate durante la rituale ispezione dei visitatori? È piena di sorprese e capolavori la visita di una galleria d’arte. E non tutte le opere sono appese ai muri. Una tra le foto più belle, scattata da non ricordo chi, mostrava una ragazza dall’aria colta mentre ammirava un’opera d’arte, anzi un’installazione, che sembrava aver provocato in lei l’intima felicità di chi ha scoperto il capolavoro che valeva la pena del viaggio e del prezzo del biglietto. La ragazza colta stava ammirando una sorta di enorme bottiglione di metallo di vernice rossa con accanto un foglio incellofanato. Non c’era bisogno di avere frequentato un’accademia di Belle Arti per capire che quello era un estintore con le istruzioni per l’uso. Naturalmente lo aveva capito anche lei e con la complicità del fotografo giocava a fare l’installazione. Forse per prendersi gioco di chi la guardava e di chi avrebbe poi guardato la foto. Per spirito goliardico, insomma. Che è poi l’humus in cui nascono e proliferano tante opere cosiddette d’arte. E allora l’arte diventa teatro, evento e chissà che altro. Ed è leggendo le fole dei critici d’arte che mi prende, allora sì, la sindrome di Stendhal e mi gira la testa. Così come mi gira quando leggo la critica degli enologi che mi parlano di vini con sentori di pietra focaia. E in questi casi che mi si accende un fuoco dentro che mi riporta alla mente l’incipit immortale di Cecco Angiolieri: «S'i' fosse foco, arderei 'l mondo». Da qui l’utilità dell’estintore.
Ivano Sartori
Author's notes
The following photographs were taken in the Tate Britain, in London, on November 11th 2015, between 2,40 and 6,10 pm, within the MUSEUMSCOPES project (see also www.barnum-review.com/portfolio/museumscopes).
The Tate Britain (known from 1897 to 1932 as the National Gallery of British Art, and from 1932 to 2000 as the Tate Gallery) is an art museum on Millbank in the City of Westminster. It is part of the Tate network of galleries in England, with the Tate Modern in London, the Tate Liverpool and the Tate St Ives. It is the oldest gallery in the network, having opened in 1897. It houses a substantial collection of the art of the United Kingdom since Tudor times, and in particular has large holdings of the works of J. M. W. Turner, who bequeathed all his own collection to the nation. It is one of the largest museums in Uk.
Tate is not a government institution, but its main sponsor is the UK Department for Digital, Culture, Media and Sports. In 1932, when its role was changed to include the national collection of modern art, it was renamed after the sugar magnate Henry Tate of Tate & Lyle, who had laid the foundations for the collection.
Note dell'autore
Le fotografie di questo servizio sono state scattate nella Tate Britain, a Londra, l'11 novembre 2015, tra le 14.40 e le 18.10, nell'ambito del progetto MUSEUMSCOPES (vedi anche www.barnum-review.com/portfolio/museumscopes).
La Tate Britain (conosciuta dal 1897 al 1932 come National Gallery of British Art e dal 1932 al 2000 come Tate Gallery) è un museo d'arte a Millbank, nella City of Westminster. Fa parte della rete di gallerie Tate in Inghilterra (con la Tate Modern a Londra, la Tate Liverpool e la Tate St Ives) ed è la galleria più antica della rete: fu inaugurata nel 1897. Ospita una notevole collezione di opere d'arte del Regno Unito dai tempi dei Tudor, e in particolare ha un gran numero di opere di J.M.W. Turner, che lasciò tutti i suoi quadri in eredità alla Nazione.
Tate non è un'istituzione governativa, ma il suo principale sponsor è il Ministero del Regno Unito per il Digitale, la Cultura, i Media e lo Sport. Nel 1932, quando alle collezioni classiche fu aggiunta quella nazionale di arte moderna, il museo fu ribattezzato in onore del magnate dello zucchero Henry Tate of Tate & Lyle, che aveva iniziato tale raccolta.