Kaleidos

È facile perdersi il cielo. 

Lasciarsene sovrastare ignari che si muove, che evolve: che vive. Ricordarsi dell’opportunità dell’azzurro solo in occasione di un sospiro, quando lo graffiano le dita magenta di un tramonto; oppure rapiti dal chiarore insistente dei primi avamposti di sole che preannunciano il trionfo dell’alba. Prestare attenzione al tripudio di fronde sedotti dall’odore di boccioli in fiore e ignorare, sconsiderati, la trama spettrale degli arbusti spogli, silenti, brutalizzati dal rigore dell’inverno e, tuttavia, carichi di una vita che in potenza permane e si rafforza, promenade di una nuova stagione.

È fin troppo facile – imperdonabile – dedicarsi guardinghi alle nubi soltanto laddove si insinui fra terra e narici dapprima il sospetto, poi la sferzata pungente di una prima, ineluttabile goccia di pioggia.  Ma tra lo schermo di stoffa degli ombrelli e l’indaco im-perturbato del cielo terso esiste una gamma di possibilità che si rinnova a ogni istante. Gli stormi di uccelli lo sanno, volteggiano in sincrono con le nuvole innocue, fluttuano al ritmo del loro sordo incalzare.

Kaleidos, kalos-eidos: di forma bella. 

Nuvola non resta, un istante e già è altra, passata, dissolta, diversa: ammasso di particelle avvinte le une alle altre in combinazioni mai eguali. Di forma perfetta è bellezza che al mutamento adatta la sua forma, senza opporsi; che, costretta a cambiare, coglie l’occasione per superarsi. 

Lo sguardo comprende; l’obiettivo trattiene l’immagine di un tempo largo un millesimo di fiato. Rende il momento memoria e, tuttavia, non pretende una stasi là dove è leggerezza volatile, impalpabile disegno, danza di piuma e deflagrazione di bomba; boato, bisbiglio. Contravviene alla fissità innaturale della pellicola e riesce a imprimervi la traccia di impermanenza che è destino comune al cielo e alla terra, alle nubi e agli uomini. Quando già le sembianze del cielo sono mutate inserisce il gioco speculare dello specchio. Aggiunge l'inverso dell'immagine, il suo pari, a quella che coglie. Ne asseconda il dinamismo affiancandogli nuove occasioni. 

Quel che rimane è un test di Rorschach in cui specchiarsi e a ogni sguardo scoprire giochi di luce, disposizioni ulteriori; possibilità inesplorate e sorprendenti. 

Isabella Michetti